dal sito ufficiale
Perchè votare SI!
Vota SI il 17 aprile per fermare le trivellazioni in
mare che permettono alle attuali concessioni di
estrazione e di ricerca di petrolio e gas entro le 12 miglia dalla
costa di non avere più scadenze.
La Legge di
Stabilità 2016, infatti, pur vietando il rilascio di nuove
autorizzazioni entro le 12 miglia dalla costa, rende “sine die”
le licenze già rilasciate in quel perimetro di mare.
Il prossimo 17 aprile si terrà un referendum popolare. Si tratta di un referendum abrogativo,
e cioè di uno dei pochi strumenti di democrazia diretta che la
Costituzione italiana prevede per richiedere la cancellazione, in tutto o
in parte, di una legge dello Stato.
Perché la proposta soggetta a
referendum sia approvata occorre che vada a votare almeno il 50% più uno
degli aventi diritto al voto e che la maggioranza dei votanti si
esprima con un “Sì”.
Hanno diritto di votare al referendum
tutti i cittadini italiani che abbiano compiuto la maggiore età. Votando
“Sì” i cittadini avranno la possibilità di cancellare la norma
sottoposta a referendum.
Dove si voterà?
Si voterà in tutta Italia e non solo nelle Regioni che hanno promosso il referendum.
Al referendum potranno votare anche gli italiani residenti all’estero.
Quando si voterà?
Al referendum potranno votare anche gli italiani residenti all’estero.
Quando si voterà?
Sarà possibile votare per il referendum soltanto nella giornata di domenica 17 aprile.
Cosa si chiede con il referendum?
Cosa si chiede con il referendum?
Con il referendum del 17 aprile si chiede agli elettori di fermare definitivamente le trivellazioni in mare. In questo modo si riusciranno a tutelare definitivamente le acque territoriali italiane.
Nello specifico si chiede di cancellare
la norma che consente alle società petrolifere di cercare ed estrarre
gas e petrolio entro le 12 miglia marine dalle coste italiane senza
limiti di tempo. Nonostante, infatti, le società petrolifere non possano
più richiedere per il futuro nuove concessioni per estrarre in mare
entro le 12 miglia, le ricerche e le attività petrolifere già in corso
non avrebbero più scadenza certa.
Se si vuole mettere
definitivamente al riparo i nostri mari dalle attività petrolifere
occorre votare “Sì” al referendum. In questo modo, le attività
petrolifere andranno progressivamente a cessare, secondo la scadenza
“naturale” fissata al momento del rilascio delle concessioni.
Qual'è il testo del quesito?
Il testo del quesito è il seguente: «Volete
voi che sia abrogato l’art. 6, comma 17, terzo periodo, del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152, “Norme in materia ambientale”, come
sostituito dal comma 239 dell’art. 1 della legge 28 dicembre 2015, n.
208 “Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale
dello Stato (Legge di Stabilità 2016)”, limitatamente alle seguenti
parole: “per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli
standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale”?».
Il risultato può essere tradito?
A
seguito di un eventuale esito positivo del referendum, il Parlamento o
il Governo non potrebbero modificare il risultato ottenuto. La
cancellazione della norma che al momento consente di estrarre gas e
petrolio senza limiti di tempo sarebbe immediatamente operativa.
L’obiettivo del referendum è chiaro e mira a far sì che il divieto di estrazione entro le 12 miglia marine sia assoluto.
Come la Corte costituzionale ha più volte precisato, il Parlamento non
può successivamente modificare il risultato che si è avuto con il
referendum, altrimenti lederebbe la volontà popolare espressa attraverso
la consultazione referendaria.
Qualora però non si raggiungesse il
quorum previsto perché il referendum sia valido (50% più uno degli
aventi diritto al voto), il Parlamento potrebbe fare ciò che vuole:
anche prevedere che si torni a cercare ed estrarre gas e petrolio
ovunque.
Si perderebbero posti di lavoro?
Un’eventuale vittoria del “Sì” non farebbe perdere alcun posto di lavoro: neppure uno. Un
esito positivo del referendum non farebbe cessare immediatamente, ma
solo progressivamente, ogni attività petrolifera in corso.
Prima che il Parlamento introducesse la
norma sulla quale gli italiani sono chiamati alle urne il prossimo 17
aprile, le concessioni per estrarre avevano normalmente una durata di
trenta anni (più altri venti, al massimo, di proroga). E questo ogni
società petrolifera lo sapeva al momento del rilascio della concessione.
Oggi non è più così: se una
società petrolifera ha ottenuto una concessione nel 1996 può – in virtù
di quella norma – estrarre fino a quando lo desideri.
Se, invece, al referendum
vincerà il “Sì”, la società petrolifera che ha ottenuto una concessione
nel 1996 potrà estrarre per dieci anni ancora e basta, e cioè fino al 2026. Dopodiché quello specifico tratto di mare interessato dall’estrazione sarà libero per sempre.
Perchè invece non incrementare le estrazioni di gas e petrolio dato che ne siamo dipendenti?
L’aumento
delle estrazioni di gas e petrolio nei nostri mari non è in alcun modo
direttamente collegato al soddisfacimento del fabbisogno energetico
nazionale.
Gli idrocarburi presenti in Italia
appartengono al patrimonio dello Stato, ma lo Stato dà in concessione a
società private – per lo più straniere – la possibilità di sfruttare i
giacimenti esistenti. Questo significa che le società private
divengono proprietarie di ciò che viene estratto e possono disporne come
meglio credano: portarlo via o magari rivendercelo.
Allo Stato esse sono tenute a versare
solo un importo corrispondente al 7% del valore della quantità di
petrolio estratto o al 10% del valore della quantità di gas estratto.
Non tutta la quantità di petrolio e gas estratto è però soggetta a royalty.
Le società petrolifere non versano
niente alle casse dello Stato per le prime 50.000 tonnellate di petrolio
e per i primi 80 milioni di metri cubi di gas estratti ogni anno e
godono di un sistema di agevolazioni e incentivi fiscali tra i più
favorevoli al mondo.
Nell’ultimo anno dalle royalty
provenienti da tutti gli idrocarburi estratti sono arrivati alle casse
dello Stato solo 340 milioni di euro.
Il rilancio dell'attività petrolifera è un'occasione dirilancio per l'Italia?
Secondo
le ultime stime del Ministero dello Sviluppo Economico effettuate sulle
riserve certe e a fronte dei consumi annui nel nostro Paese, anche
qualora le estrazioni petrolifere e di gas fossero collegate al
fabbisogno energetico nazionale, le risorse rinvenute sarebbero comunque
esigue e del tutto insufficienti. Considerando tutto il petrolio
presente sotto il mare italiano, questo sarebbe appena sufficiente a
coprire il fabbisogno nazionale di greggio per 8 settimane.
La ricchezza dell’Italia è, in verità, un’altra:
- il turismo, che contribuisce ogni anno circa al 10% del PIL nazionale, dà lavoro a quasi 3 milioni di persone, per un fatturato di circa 160 miliardi di euro;
- la pesca, che si esercita lungo i 7.456 km di costa entro le 12 miglia marine, produce circa il 2,5% del PIL e dà lavoro a quasi 350.000 persone;
- il patrimonio culturale, che vale 5,4% del PIL e che dà lavoro a circa 1 milione e 400.000 persone, con un fatturato annuo di circa 40 miliardi di euro;
- il comparto agroalimentare, che vale l’8,7% del PIL, dà lavoro a 3 milioni e 300.000 persone con un fatturato annuo di 119 miliardi di euro e che nel solo 2014 ha conosciuto l’esportazione di prodotti per un fatturato di circa 34,4 miliardi di euro;
la piccola e media impresa,
che conta circa 4,2 milioni di piccole e medie “industrie” (e, cioè, il
99,8% del totale delle industrie italiane), e che costituisce il vero
motore dell’intero sistema economico nazionale: tali imprese assorbono
l’81,7% del totale dei lavoratori del nostro Paese, generano il 58,5%
del valore delle esportazioni e contribuiscono al 70,8% del PIL. Il solo
comparto manifatturiero, che conta circa 530.000 aziende, occupa circa
4,8 milioni di addetti, fattura 230 miliardi di euro l’anno, equivalente
al 13% del PIL nazionale, e contribuisce al totale delle esportazioni
del Made in Italy nella misura del 53,6%.
Ma gli italiani sempre di più la macchina, come faranno a spostarsi?
Ciò
che si estrae in Italia non è necessariamente destinato alla produzione
del carburante per le autovetture ed ancor meno per quelle in
circolazione nel nostro Paese.
Ad ogni modo, gli italiani si trovano spesso costretti ad utilizzare l’auto di proprietà. A fronte di un sistema di trasporti pubblici gravemente lacunoso non hanno praticamente scelta. In
alcuni Paesi del Nord Europa l’utilizzo dell’auto privata è spesso
avvertito come un “peso” e ritenuto economicamente non vantaggioso.
Le cose andrebbero diversamente se si
perseguisse una seria politica dei trasporti pubblici. Secondo l’Unione
europea, rispetto agli altri Stati membri, l’Italia è al riguardo agli
ultimi posti.
Cosa ci si attende?
Il
voto referendario è uno dei pochi strumenti di democrazia a
disposizione dei cittadini italiani ed è giusto che i cittadini abbiano
la possibilità di esprimersi anche sul futuro energetico del nostro
Paese.
Nel dicembre del 2015 l’Italia ha
partecipato alla Conferenza ONU sui cambiamenti climatici tenutasi a
Parigi, impegnandosi, assieme ad altri 194 Paesi, a contenere il
riscaldamento globale entro 1,5 gradi centigradi e a seguire la strada
della decarbonizzazione.
Fermare le trivellazioni in mare è in linea con gli impegni presi a Parigi e contribuirà al raggiungimento di quell’obiettivo.
È necessario, nel frattempo, affrontare il problema della transizione energetica, puntando
anche sul risparmio e sull’efficienza energetica e investendo da subito
nel settore delle energie rinnovabili, che potrà generare
progressivamente migliaia di nuovi posti di lavoro.
Il tempo delle fonti fossili è scaduto: è ora di aprire ad un modello economico alternativo.
Perchè questo referendum?
Per
tutelare i mari italiani, anzitutto. Il mare ricopre il 71% della
superficie del Pianeta e svolge un ruolo fondamentale per la vita
dell’uomo sulla terra. Con la sua enorme moltitudine di esseri viventi
vegetali e animali – dal fitoplancton alle grandi balene – produce, se
in buona salute, il 50% dell’ossigeno che respiriamo e assorbe fino ad
1/3 delle emissioni di anidride carbonica prodotta dalle attività
antropiche.
La ricerca e l’estrazione di idrocarburi hanno un notevole impatto sulla vita del mare: la ricerca del gas e del petrolio attraverso la tecnica dell’airgun
incide, in particolar modo, sulla fauna marina: le emissioni acustiche
dovute all’utilizzo di tale tecnica può elevare il livello di stress dei
mammiferi marini, può modificare il loro comportamento e indebolire il
loro sistema immunitario.
Ricerca e trivellazioni offshore costituiscono un rischio anche per la pesca. Le attività di prospezione sismica e le esplosioni provocate dall’uso dell’airgun
possono provocare danni diretti a un’ampia gamma di organismi marini –
cetacei, tartarughe, pesci, molluschi e crostacei – e alterare la catena
trofica.
Senza considerare che i mari
italiani sono mari “chiusi” e un incidente anche di piccole dimensioni
potrebbe mettere a repentaglio tutto questo.
Un eventuale incidente – nei pozzi
petroliferi offshore e/o durante il trasporto di petrolio – sarebbe
fonte di danni incalcolabili con effetti immediati e a lungo
termine sull’ambiente, la qualità della vita e con gravi ripercussioni
gravissime sull’economia turistica e della pesca.
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