Tempo fa andando a Milano alla mattina mi è capitato di viaggiare in prima classe. Essendo molto presto, mi sono sistemata sulla mia poltroncina nella speranza di recuperare un'altra ora di sonno e non ho fatto molto caso agli altri passeggeri. Arriviamo a Milano. Fine corsa. Ci alziamo tutti in piedi per scendere. In quel momento mi rendo conto che il vagone era pieno, ma io ero l'unica donna. Osservo i compagni di viaggio, uomini tra i 35 e i 55 anni, ben vestiti con giacca e cravatta e scarpe lucide, valigetta e polso con orologio (particolare per me di solito inosservato), tablet o PC portatile e smartphone tutti rigorosamente ultima generazione, sotto braccio tanti giornali, la maggior parte di economia, non la gazzetta dello sport.
Un quadro impietoso della parità di genere in ambito lavorativo, professionale, manageriale ad alti livelli racchiuso nella cornice di un vagone di un treno.
Ieri in aula di Consiglio abbiamo celebrato il 70esimo anniversario del diritto di voto alle donne, 71 anni fa le donne italiane non potevano votare. Una cosa che per me è normale, per le mie nonne non lo fu. E mentre pensavo a questo, mentre ragionavo su quanto da una parte mi sembrava lontana l'acquisizione di questo diritto e dall'altra assolutamente recente, anche se in altri paesi è di "ieri" questo diritto, mi è tornata in mente l'immagine di quel vagone. Un'immagine che vale più di mille statistiche e che spiega come certi cambiamenti culturali siano ancora molto lontani nonostante sulla carta le cose siano state più o meno messe a posto.
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